“L’altruismo è la disposizione del soggetto ad agire per il bene e l’interesse altrui anche sacrificando il proprio. Per tale motivo l’altruismo è reputato dagli altri e dalla società in genere, come un tratto positivo della personalità.  Il tratto dell’altruismo può essere interpretato come una caratteristica innata della persona, anche se il contesto culturale e sociale dove essa cresce e matura  possono influenzare il comportamento verso un maggiore o minore grado di altruismo. L’ altruista, al contrario dell’egoista, dimostra di essere interessato agli altri anche a proprio svantaggio o in vista di un’aspettativa di mutuo aiuto. “Ti aiuto, perché in futuro mi aspetto che tu faccia altrettanto”. L’altruista è considerata come persona di indiscussa moralità e in grado di apportare contributi positivi per lo sviluppo ed il mantenimento di contesti lavorativi  collaborativi e cooperativi.”

Quali benefici porta l’altruismo?

Questa soft skills porta innumerevoli benefici, sia alle singole persone che all’intera azienda: le persone che si mettono al servizio degli altri possono imparare molti aspetti del lavoro dei propri colleghi, aumentando e migliorando le proprie hard skills e costruendosi una rete professionale di conoscenza basata sulla fiducia e il rispetto reciproco. L’intero ambiente lavorativo ne trae giovamento, perché si impara il valore del lavoro altrui, oltre che ad affrontare e risolvere con gli altri i problemi per raggiungere l’obiettivo comune di vivere in un ambiente cooperativo ed efficiente.

Come si coltiva questa soft skills? Senza la paura di sbagliare e con la voglia di imparare

Non è sempre facile essere altruista, perché a volte si ha paura di essere sfruttati dai collaboratori meno generosi o perché si pensa di non essere all’altezza di poter aiutare le persone che ci sono vicine. Ma non bisogna perdersi d’animo: se partiamo dal presupposto di imparare e di poter anche sbagliare qualche volta (proprio perché magari non siamo esperti di un argomento), ne usciremo sempre vincitori, arricchendo il nostro bagaglio di esperienze e di conoscenza delle persone. Quindi non rischierete di fare sempre dei lavori ripetitivi e di annoiarvi, ma anzi dovrete aguzzare l’ingegno perché affronterete problematiche nuove, stimolando anche la vostra curiosità.

Si dice che Einstein abbia detto che “la maturità inizia a manifestarsi quando sentiamo che è più grande la nostra preoccupazione per gli altri che non per noi stessi” e probabilmente possiamo avere fiducia in un premio Nobel che non si risparmiava nel fare le linguacce davanti alla macchina fotografica, per donare agli altri la cosa più semplice ma di maggior valore: un sorriso!

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Secondo il modello di analisi delle soft skills SkillView l’orientamento sociale è…

“La competenza di orientamento sociale determina il modo in cui la persona sceglie di gestire le relazioni sociali. E’ collegata alla capacità di percepire le emozioni degli altri (empatia), di comprendere il loro punto di vista e di interessarsi attivamente alle loro preoccupazioni. La persona “orientata socialmente” preferisce lavorare con gli altri, piuttosto che da sola, e  può essere in grado di leggere e interpretare correttamente il clima organizzativo (inteso come somma delle percezioni individuali, gruppali, settoriali nei confronti dell’ organizzazione). La competenza di orientamento sociale è, infine, collegata all’orientamento al cliente e alla capacità di riconoscere e soddisfare non solo le esigenze dei clienti esterni ma anche quelle dei propri diretti collaboratori.”

Come si coltiva il proprio orientamento sociale? Partecipando attivamente, con modestia, curiosità e spirito d’iniziativa (ma anche l’umorismo non fa male)

Si sa, a volte bisogna intessere delle nuove relazioni, magari perché si inizia un nuovo percorso di lavoro, oppure perché quello attuale cambia. Quindi si ha a che fare con persone nuove con cui si deve collaborare e partecipare a progetti, riunioni, condividendo magari anche molto tempo insieme. Ma quindi, come fare per socializzare al meglio? Certo, non esiste una formula magica, preferibilmente adatta a tutti, ma un possibile percorso è quello di partecipare attivamente alla vita in ufficio, con la modestia di una persona nuova che deve imparare (in fondo, tutti abbiamo qualcosa da imparare dagli altri). E’ importante una buona dose di curiosità per il nuovo, per quello che le persone hanno da dire e da dare, per conoscere nuovi punti di vista che ci possono arricchire e magari darci nuove possibilità che fino ad ora non abbiamo neanche immaginato. Lo spirito d’iniziativa, poi, è la chiave per poter cambiare l’ambiente in cui viviamo e lavoriamo. In fondo, se il clima è positivo, stimolante, arricchente, formativo e…un pò tutti gli aggettivi positivi che vi vengono in mente per un mondo in cui vorreste passare il vostro tempo…fa bene a tutti, quindi anche a voi.  

E se avete creato un ambiente così in azienda, basato sulla collaborazione e il supporto reciproco per la risoluzione delle problematiche, il rapporto con i clienti rispecchierà questa stessa filosofia. La cura per la clientela quindi, non sarà solo un vanto pubblicitario che giova all’immagine dell’impresa, ma parte della vera cultura aziendale che avete contribuito a creare.

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Lo studio del Febbraio del 2015 condotto da M. Kosinski et al.  ha coinvolto un campione di 86.220 volontari che hanno compilato un questionario di autovalutazione della personalità basato sui Big Five. I ricercatori guidati da Kosinski sono partiti da questo campione complessivo per individuare 70.530 soggetti dalla quale estrarre il profilo di personalità utilizzando,  a tale scopo, le “registrazioni” digitali racchiusi nei Like di Facebook (come ad es, preferenze dei soggetti del campione espressa su tematiche di loro interesse come la corsa, il ballo, la politica, ecc…).

Naturalmente la relazione tra profilo di personalità (misurati con il modello NEO PI-R di Costa e McCrea: Estroversione, Amicalità, …) frutto del questionario di personalità ed i Like degli “user” era stato oggetto di analisi e indagine da parte dello stesso Kosinsky, mediante l’impiego del modello di regressione lineare che ha permesso di generare dei “coefficienti” che esprimono numericamente il legame di ogni tratto di personalità con i Like. I “coefficienti” individuati sono stati poi utilizzati da un sistema automatico, messo a punto dagli stessi ricercatori, per formulare giudizi sulla personalità degli “iscritti a Facebook”.

In conclusione, Kosinski sostiene che la valutazione della personalità effettuata tramite sistemi automatici come quello utilizzato dallo stesso studioso (esame di solo 100 Like per persona) è più accurata (r = 0,56) rispetto a quella  frutto del questionario di personalità (r = 0,49) e della valutazione fatta dagli amici sulla persona. Questo studio permette di capire l’enorme potenzialità per l’assessment delle persone tramite scale validate con meccanismi che agiscono come il test Skill View anche tramite i social media.

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Negli ultimi anni si parla molto dei Millennials, persone nate dopo il 1980. E si sa che questa generazione è stata la prima a beneficiare d’Internet come mezzo di informazione, canale di comunicazione alternativo a tutti gli altri prima esistenti. Farsi un selfie e scambiarlo su Instagram è oramai condizione comune di molti di questi Millennials e non solo.

Ma è possibile che l’esposizione continua delle persone a Internet (con tutte le articolazioni social in cui si modella la rete) possa far diventare le persone più narcisiste?

In effetti creare un profilo pubblico significa dedicare diverso tempo a descriversi (Facebook invita ognuno a dire dove vive, che sentimenti prova, ad aggiornare il profilo, ecc.), a rispondere agli inviti dei social, a dare un like, a commentare un evento e per raccontare del proprio stato d’animo.  Questa perdurante attività on line (che continua con Snapchat, WhatsApp, …), nel quale ognuno interviene per esprimere la propria unicità, collegandola magari a quella della propria cerchia di amici, del gruppo, della famiglia alla quale si appartiene, ecc.  potrebbe far bene anche all’autostima personale che, d’altra parte, è collegata anche al narcisismo.

E in effetti molti studi affermano che la popolazione che frequenta i social presenta valori di narcisismo molto più elevati rispetto alla popolazione precedente all’era Internet.

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